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Drammaturgia e regia
Alessia Oteri
Assistente alla regia
Francesca Consiglio
Iliade, cinque possibili percorsi attraverso il poema omerico nasce da un desiderio: quello di tornare alla parola antica, dopo aver affrontato – come laboratorio teatrale - molta drammaturgia contemporanea. Una montagna da scalare Iliade, un corpus di 24 canti che contiene in sé il principio di molte storie a venire, e che ancora si offre ai nostri occhi in tutta la sua potente bellezza.
“Quando i Greci dovevano appellarsi a un'autorità ultima – scrive Roberto Calasso - non citavano testi sacri, ma Omero. Sull'Iliade si fondava la Grecia”. E molti di quegli archetipi non solo epici, eroici o letterari, ma anche e forse più strettamente antropologici, sembrano essere arrivati intatti fino a noi.
L’Iliade ci parla, e ci parla ancora. Ci parla attraverso una parola che è la guerra, dei vincitori e dei vinti, che è dare un senso alla vita e alla morte, che è la vergogna di perdere il proprio status e quindi la propria identità di fronte agli altri, che è permettersi di piangere, che è spostare altrove, al di fuori di sé quell’inconoscibile e oscura parte che non si riesce a illuminare se non attraverso l’intervento di un dio, che come altro da sé, agisce.
Iliade sono le sospensioni, la pietas in battaglia, le lacrime degli eroi che come uomini piangono, l’identità come processo di crescita, la necessità di traghettare la finitezza dell’uomo all’interno della vita stessa, andando incontro alla morte per essere ricordati nella parola degli altri. Iliade sono le immagini, potenti. L’aristeia in battaglia, il corpo di Ettore trascinato da Achille, la Gorgone sullo scudo di Agamennone.
E poi e ancora l’Iliade è tutto ciò che accade dopo e intanto, la colpa, il ritorno.
E allora a Diomede, figlio di Tideo, Pallade Atena
infuse forza e furore perché fra tutti gli Achei lui solo si distinguesse e conquistasse la gloria. Lì, dove maggiore era il tumulto in mezzo ai troiani lo spinse nel mezzo la dea
Voci, il nostro primo studio sul testo, delinea un percorso attraverso l’irrazionale presente nell’Iliade. Una suggestione che nasce dall’analisi di Eric Dodds e del suo I greci e l’irrazionale, e che guidati da questa traccia, abbiamo cercato nel testo: non solo interpretando ogni volta la voce del dio come una voce interna che muove l’eroe in una direzione piuttosto che un’altra, ma interpretando anche questa voce come ciò che di inconoscibile l’eroe avverte di sé, e quindi necessariamente sposta all’esterno.
[Foto Tiziano Santin]
I passaggi scelti dall’Iliade sono quelli in cui l’irrazionale si manifesta in stato di veglia o nel sonno, attraverso la voce del Dio e dell’uomo. Irrazionale è la pazzia vista come un dono divino, l’influenza del mondo onirico nella vita cosciente, la concezione di peccato e colpa (propria o ereditaria), la divinazione profetica, l’impeto dionisiaco. Irrazionalità è áte: smarrimento, momentaneo annebbiamento della coscienza, forza autodistruttiva e ossessiva, sottrazione; ma irrazionalità e anche ménos, furore guerriero, energia distruttrice, traboccamento.
E' il dio che mi ispira coraggio, è il dio che mi toglie il senno
è il dio che mi ammonisce e mi chiama, è il dio che mi ricorda quanto avrei dimenticato, è il dio che mi fa dimenticare quanto dovrei ricordare
[Ate e Menos, foto di scena Tiziano Santin]
Le prime improvvisazioni - in parte confluite all'interno dello spettacolo - hanno preso avvio dai concetti di áte e ménos. Questa è stata la porta di accesso che ci ha permesso gradualmente di accostarci agli elementi irrazionali presenti nel testo. Il dio si manifesta all'uomo omerico, talvolta provoca smarrimento talvolta infonde in lui il ménos in battaglia.
Fu allora che il dolore forte mi squarciò il petto
in due parti. E fu in quel tempo sospeso che sentii Atena parlarmi.
Il primo canto dell'Iliade, con cui si apre la narrazione del breve arco temporale degli ultimi cinquantuno giorni della guerra di Troia (narrazione sospesa, in ultimo sulla restituzione del corpo di Ettore), prende avvio dall'ira di Achille. Un'ira che sembra essere del tutto umana - non condizionata da interventi esterni - in cui la voce del dio (Atena) è in questo caso una voce che placa Achille. Di fronte ad Agamennone, alla minaccia di vedersi sottratta la schiava Briseide, affinchè Criseide sia restituita al padre, Achille sembra avere un'unica strada: mettere mano alla spada e affrontare il capo degli eserciti. E' in quel momento che interviene Atena: è una voce interna che lo placa, gli consiglia di trattenere la mano che è già pronta sull'elsa, e piuttosto che battersi di insultare Agamennone, di prenderlo a male parole, di tradurre così la sua rabbia. E' una voce che ha il carattere di un monito interno : nessuno tra gli astanti vede la dea, solo Achille.
[Briseide e Criseide, Foto di scena Tiziano Santin]
Sono discesa dal cielo per placare il tuo furore ascoltami Achille
Perché questo ti dico e questo avrà compimento. Un giorno ti offriranno splendidi doni .Te ne daranno tre volte quanti ti sono stati sottratti
[un momento dello spettacolo : la sottrazione della schiava Briseide ad Achille da parte di Agamennone ]
Oulos oineros, sogno divino, sogno funesto. Agamennone sa che l'ira di Achille che lo allontana dal campo lasciando gli Achei soli a battersi contro i troiani è una perdita con delle conseguenze pesantissime per l'esercito e per le sorti della battaglia. Teme di aver compromesso irrimediabilmente la vittoria del suo esercito. Sotto le sembianze di Nestore - consigliere sapiente - di notte gli viene in aiuto la voce del dio. E' un sogno che mira a rinforzare le sue azioni. Una voce interna che riconferma la sua identità di capo degli Achei.
[ Ascoltami adesso /vengo messaggero di Zeus/ sotto le sembianze di Nestore: arma subito gli Achei dai lunghi capelli, conquista la grande città dei troiani, tutti gli dei ti sono a favore, non discutono più gli immortali che hanno dimora in Olimpo]
E' un delirio di onnipotenza quello che coglie Agamennone al risveglio: tornerà ad armare gli achei e prima ne testerà la fedeltà con l'inganno, convincendoli a prendere il mare, a lasciare Ilio, e tornare a casa. E' ancora una volta una dea, di nuovo Atena, che parla ad Odisseo e suggerisce alla sua mente colorata l'inganno di Agamennone.
Nera notte, notte nera, non dormono al campo né Achei né Troiani
Nera notte, mi viene in sonno la dea, a me Reso. Mi viene in sonno Atena : ha il volto di Diomède travestito di pelli e accanto a lui Odisseo, l’ingannatore
Tra i molti altri passaggi scelti nel nostro studio (Iris, la dea, che per voce di Laodice parla ad Elena e la spinge ad andare alle porte a vedere il duello tra Patroclo e Menelao, l'aristia compiuta da Diomede, figlio di Tideo, il pianto di Crise ad Apollo, quello di Achille a sua madre Teti), ancora un sogno, quello di Reso. Un episodio apparentemente marginale - nella notte delle spie (Guidorizzi) - in cui Achei e Troiani mandano entrambi degli uomini a spiare il campo avversario, Atena appare in sogno a Reso per predirgli la morte che avviene puntualmente e quasi in contemporanea alla sua precognizione per mano di Diomede e Odisseo.
E resta solo Aiace e imperversa nella pianura fortissimo uccidendo guerrieri e cavalli
E resta solo Aiace, feriti Diomede ed Odisseo e Agamennone, e Achille irato alle navi, e resta solo Aiace e imperversa fortissimo nella pianura uccidendo cavalli e guerrieri, e resta solo Aiace finchè all’improvviso e senza un motivo si arresta.
In uno dei momenti più aspri della battaglia mentre Zeus, irato con gli Achei, versa dall'alto dei cieli una rugiada di sangue perchè molti saranno tra loro quelli che di lì a poco scenderanno nell'Ade, Ettore - attraversato dal ménos - fa strage di nemici. I maggiori tra gli eroi achei si trovano qui via via feriti, o isolati, a battersi contro i troiani. Tentennano, arretrano, si soccorrono feriti gli uni con gli altri. Una paura del tutto umana,comprensibile e mortale, li attraversa. Ben diverso il racconto, pochi versi più avanti di Aiace. Cui è il dio a infondere timore nel petto.
[La paura di Aiace]
[Patroclo veste le armi di Achille e si batte contro i Troiani, contravvenendo al consiglio dell'amato fratello]
Immobile, stupefatto, cado a terra per mano di Apollo, colpito alla schiena
la mia mente si confonde, il mio corpo perde ogni forza, tre volte sono andato incontro alla sorte, tre volte simile ad Ares e con indosso le tue armi, Achille, ho gridato con voce terribile nella mischia tremenda.
Dopo la morte di Patroclo, l'ira che colpisce Achille è senza ritorno. Con le nuove armi forgiate per lui dal dio Efesto, Achille torna a combattere. E' ancora il ménos che agisce in lui, la sua rabbia ora è chòlos che si traduce nello scempio del corpo di Ettore, e ancora prima nella scena in cui compie una vera e propria carneficina a ridosso delle acque del fiume Scamandro. Su questo ultimo e suggestivo passaggio si chiude il nostro studio. L'irrazionale occupa qui uno spazio che trascende l'eroe e si fa natura stessa. Sono le acque del fiume che tinte del rosso del sangue dei vinti, prendono a rigettare cadaveri ed armi: è una lotta tra dei, in cui non sembra esserci spazio se non per quei recessi dell'anima, in cui la natura più illuminata dell'uomo è totalmente sopraffatta dal buio.
E allora il fiume Scamandro prese a parlare. Aveva la voce del dio e insieme aveva la voce di un uomo:
perché gli uni sugli altri i troiani, corpi e cadaveri, li gettava Achille divino nel letto del fiume. E allora il fiume Scamandro sollevò le sue acque, perché troppo rosso si era fatto il suo corso perché troppi erano i corpi di quelli che annegavano, di quelli che annaspavano per fuggire alla sorte
E allora prese a parlare Scamandro/ il fiume / rosso di sangue e dei corpi / e prese a parlare per voce di un uomo, Achllle irato e inutile peso alla terra/ che scagli cadaveri uno sull’altro/ Fermati Achille/ arresta lo scempio/ Achille che di tutti gli uomini che combattono sotto le mura di Troia sei il più forte / eppure le più empie azioni commetti e gli dei ti difendono sempre/ seppure Zeus ti ha concesso di sterminare tutti i troiani /spingili nella pianura e lontano da me va a compiere i tuoi misfatti / Si ammucchiano i corpi nelle mie acque bellissime / e non posso più riversarle nel mare divino, sono pieno di morti e tu fai orrendo massacro/ fermati dunque/ l’orrore mi agghiaccia/ fermati signore di eserciti / E allora prese a parlare il fiume Scamandro/ e a gonfiare le acque sollevando le onde sconvolte/ e uno sull’altro a respingere i corpi che vi giacevano a mucchi/ e come un toro muggendo li scagliò sulla riva celando invece nei suoi gorghi profondi quelli tra loro che erano scampati alla morte. / E allora prese a parlare il fiume Scamandro e a gonfiare le acque sollevando le onde sconvolte / attorno ad Achille furioso /e premendogli contro da ogni parte / E balzò fuori dall’acqua l’eroe/ In mezzo al frastuono/ E alla furia del fiume incalzante / Che gli stava sempre alle spalle per quanto corresse / al fiume violento che gli piegava gambe / che gli toglieva da sotto i piedi la terra / E tutte le volte che Achille dai piedi veloci si voltava per affrontarlo / tutte le volte la grande onda del fiume si rovesciava sulle sue spalle /e si piegavano le ginocchia alla furia dell’acqua/ perché sono più forti gli dei degli uomini, sempre. E gridava l’eroe al vasto cielo Padre, nessuno degli dei io accuso/Solo mia madre /Che mi incantò con le sue menzogne /Dicendo che sotto le mura dei teucri /Dalle salde corazze avrei trovato la morte / Mi avesse ucciso Ettore almeno /Che tra tutti gli uomini è il più forte/ Mi avrebbe almeno spogliato un eroe /E invece è destino che muoia travolto dal fiume come un piccolo guardiano di porci che il torrente trascina mentre lo attraversa nella tempesta
E piegato sconvolto braccato dalla forza dell’acqua
Che attorno al suo corpo premeva da ogni parte
Achille sentii salirgli nel petto
La rabbia di Pallade Atena
Che di nuovo gli venne in soccorso
E allora fu rabbia di dei e non più di mortali
Fu la forza del fiume a scagliarsi con ancora più forza su Achille
Chiamando a raccolta le acque del Simoenta che scorrevano attorno
e gridando
Fratello fermiamo noi due ora insieme
Quest’uomo furente
Gonfiamo i torrenti che il frastuono di tronchi e di sassi cada
Su Achille selvaggio che infuria
Con la forza di un dio,
perché di un dio si crede
Più forte
Ma sono più forti gli dei degli uomini, sempre
E allora fu rabbia di dei e non più di mortali
E mentre quello infuriava
Efesto
Efesto divino
Rese di fuoco le acque
E si fece di fuoco la terra
E si fece di fuoco Scamandro
Che dal suo ventre rosso
iniziò a rigettare
i corpi dei vivi e dei morti
e bruciavano le onde
e inaridiva la terra e l’acqua lucente arrestava il suo corso
mentre Achille con la forza di un dio
riprendeva il massacro
e in mezzo a quel sangue
in mezzo a quel fuoco
ai troiani dava morte e dolore
e pareva un gigante
ora simile a un dio
ora simile a un dio
era Achille.
[Questo nostro primo percorso sull'Iliade - al pari degli altri quattro studi - non si propone quale lettura critica del testo. E' frutto di un possibile percorso da leggersi trasversalmente, per la scena].
[FOTO DI SCENA]
foto di scena Tiziano Santin
[il video completo dello spettacolo]