Perchè hai paura Riccardo?
Perchè la tua mente non è libera?
Riportiamo per intero la bella recensione di Stefano Coccia su IL PALCO della meravigliosa serata del 7 dicembre 2022 al Teatro Marconi.
METIS TEATRO LABORATORIO PRESENTA
RICCARDO III NON S’HA DA FARE
Di Matéi Visniec
Regia Alessia Oteri
Assistente alla regia Francesca Consiglio
Con
Sabrina Attanasio, Giorgia Cacciante, Caterina Cosentino, Valentina Cristini, Eleonora Fradani, Francesco Meriano, Veronica Morelli, Antonio Orsini, Sabrina Ottaviani, Maria Parente, Antonella Pulcini, Andrea Ranieri, Marco Tuccinardi
7 DICEMBRE 2022 ORE 20.30
TEATRO MARCONI
Intro: L’epilogo tragico della vita di Vsevolod Mejerchol’d, arrestato, processato, torturato e ucciso su ordine di Stalin perché considerato sabotatore del regime e spia trockista è una delle pagine più buie di quel secolo breve che è stato il ‘900. Tra i maggiori registi del teatro russo, Mejerchol’d muore nel carcere di Butyrki il 2 febbraio del 1940, fucilato e poi sepolto in una fossa comune. Un destino tragico, violento, condiviso in quegli anni con ogni voce dissidente, artisti, intellettuali, uomini e donne di teatro unicamente colpevoli di essersi macchiati di un pensiero libero, non allineato.
Perchè hai paura Riccardo?
Perchè la tua testa non è libera?
Ormai il drammaturgo Matéi Visniec al Teatro Marconi è “di casa”. Fortunato, lui. Lo stesso non si può dire infatti di uno dei più grandi uomini di teatro del Novecento, quel Mejerchol’d la cui “Biomeccanica Teatrale” viene studiata ancora oggi con passione, dedizione e rispetto, il quale nel corso degli anni ’30 cominciò a non sentirsi più tanto “a casa”, in Unione Sovietica. E di motivi per stare in apprensione ne aveva davvero parecchi. Stalin e altre eminenti figure del Partito (vedi ad esempio i vili e violenti attacchi firmati da Platon Michajlovič Keržencev sulla Pravda) erano giunti alla conclusione che il suo teatro con la costruzione della società socialista non aveva poi molto in comune. Allora giù con le accuse di “formalismo”, pronte a trasformarsi in accuse di tradimento del “realismo socialista”, pronte a trasformarsi in accuse di “trotskismo”, pronte a trasformarsi in qualche complotto “controrivoluzionario” fantasiosamente costruito intorno all’imputato, pronte infine a trasformarsi in interrogatori selvaggi, confessioni estorte con la tortura e brutali condanne a morte. Accadde così che al geniale Mejerchol’d toccò una gran brutta fine, mentre sua moglie la popolare attrice Zinaida Reich (neanche verso i famigliari più stretti si usava pietà, in casi del genere) subì un martirio persino peggiore, per mano di sicari governativi.
Magra consolazione, dirà qualcuno, comunque sono rimasti davvero in pochi a difendere la mostruosità di Stalin e le depravazioni offerte su scala industriale dal tetro regime sovietico, mentre la scintillante parabola artistica e il triste destino di Vsevolod Mejerchol’d ancora oggi ci toccano il cuore. Vi è anche lui, per inciso, tra i personaggi evocati di recente nell’immaginifico, coltissimo lungometraggio d’animazione del russo Andrey Khrzhanovskiy, Il Naso o la Cospirazione degli Anticonformisti.
Affine nello spirito, Riccardo III non s’ha da fare di Matéi Visniec similmente gioca su quel crinale in cui si incontrano la satira delle peggiori storture comuniste, le serie minacce poste da quel mondo a qualunque libertà creativa, lo sforzo dell’individuo di rimanere a testa alta pure quando la persecuzione ha avuto inizio e l’improrogabile necessità di denunciare gli eccessi violenti, criminali, legati a una repressione tanto spietata. Del resto non è nuovo, il drammaturgo rumeno, a prendere di petto simili pagine di Storia, ricorrendo nel caso a sottili allegorie e a pungenti parafrasi: sempre tra le sue opere teatrali spicca infatti Il Comunismo spiegato ai malati di mente, allorché è con un brivido che tra i ricordi riaffiora anche quel capitolo del suo recente romanzo, Sindrome da panico nella città del Lumi, in cui un allarmante, cupo rimbombare di stivali in marcia diviene metafora perfetta del triste epilogo della “Primavera di Praga” .
Fin qui siamo rimasti ancorati alle figure e ai temi trattati nello spettacolo, per quanto importanti. La forza della drammaturgia di Matéi Visniec risiede però altrove. Riesce cioè a mettere alla berlina l’autorità più opprimente smontandola un pezzo alla volta attraverso il linguaggio, attraverso le più ironiche manipolazioni del contesto scenico, attraverso una serie di stranianti intuizioni. In più, il meta-teatro diventa nella fattispecie altro terreno di scontro, tra l’arroganza del Potere e i titanici sforzi dell’individuo di contrastarne i condizionamenti più subdoli, avvalendosi di ogni residuale strumento; arrivando persino a ipotizzare con quell’ottusa, monolitica leadership un possibile compromesso da cercare sulle basi di logica, buonsenso, empatia, basi comunque fragili quando dall’altro lato a dominare incontrastati vi sono cieco fanatismo e una profonda attitudine a imporre, sempre e comunque, la propria volontà. Se nella prima parte della pièce le pressioni dei burocratici di turno, per far desistere Mejerchol’d dal far comparire in scena l’accigliato anti-eroe shakespeariano con addosso cose che alludano troppo al presente, generano a tratti un sulfureo umorismo, l’ironia di fondo non si perde certo strada facendo ma è destinata a farsi sempre più fosca man mano che si va avanti. Sicché il grande regista teatrale russo si vedrà sottrarre da gendarmi e burocrati non soltanto il controllo della propria opera, ma quello della vita stessa. Con l’avvicinarsi della tragedia i toni cambiano per l’ennesima volta. Ben accompagnati, in questo percorso, dal genuino istrionismo di MetisTeatro, ottimo gruppo di lavoro che la passione di Alessia Oteri ha messo da tempo sulle tracce di Matéi Visniec, del suo teatro votato a chiamare in causa la collettività energicamente, con la giusta empatia non disgiunta però da uno humour graffiante. Ci ha fatto pertanto molto piacere veder premiati al termine della serata sia il grande autore rumeno che la regista italiana, da parte di un Ministro della Cultura giunto da Bucarest con arguzia, preparazione e charme presenti in misura senz’altro maggiore, rispetto a ciò che siamo soliti osservare tra i rappresentanti delle nostre istituzioni, a qualunque governo essi appartengano.