Il 5 marzo – a seguito del decreto governativo di chiusura delle scuole – abbiamo deciso responsabilmente e tutto sommato precorrendo i tempi, di trasferirci online. Ancora non erano giornate così cupe (diciamolo), e mentre c’era la goliardia con cui veniva accolta la notizia sui social dai nostri amici e soci (si si, la lezione online! la voglio fare anch’io! ), di contro si leggevano -sempre sugli stessi social- ancora frange di “resistenti” che al grido di “io resisto” o anche “noi resistiamo!” proponevano stage in data 16 marzo. Perché la paura ovviamente si combatte di pancia. Accalcandoci tutti insieme. Ma questa è un’altra storia. E forse non è nemmeno elegante raccontarla adesso. E forse non è nemmeno opportuno.
Perchè in verità il 4 marzo- giorno del decreto – ci avevamo provato anche noi a vederci a un metro di distanza. Con esiti a dir poco, surreali. Per tutto il pomeriggio mi ero chiesta se sospendere subito: ma appunto tutta questa storia sembrava confinata a una provincia fino al giorno prima sconosciuta ai più (Vo’) e soprattutto Roma – e quindi noi – sembravamo anni luce lontani da quanto solo 5 giorni dopo (credo) ci sarebbe caduto addosso con tutto il peso di questo isolamento che tutti stiamo vivendo emotivamente facendo i conti con le nostre fragilità e i nostri personali vuoti. Ma anche questa è un’altra storia. Diciamo che è accaduto tutto insieme. Diciamo che tutto questo ci ha messo di fronte a un’unica cosa. Il nostro equilibrio interiore.
E quindi, tornando a quel 4 marzo, che era un mercoledi, e ancora il pub accanto all’associazione era pieno, e ancora Zio scaldava i suoi tramezzini- senza con ogni probabilità lavarsi le mani con l’amuchina -(ti voglio bene Zio! e il corona non l’ho contratto perchè i miei anticorpi si presentano “alla salute” col tuo bicchiere!) – ci vedevamo in associazione. Ed io -in pausa con i ragazzi -mi domandavo se forse non sarebbe stato opportuno chiudere. Perchè a un metro di distanza avevamo anche provato a starci,ma dai, era surreale, e poi soprattutto, iniziava a farsi strada un pensiero: e se se fosse vero? e se metti caso tra due settimane questa storia davvero ci sfugge di mano? Ancora non c’erano i decreti, ancora non c’erano le restrizioni, e so quanto è difficile per la nostra pancia, e la mia per prima, spostare l’attenzione dall’immediato a quanto potrebbe accadere.
E poi i ragazzi mi dicevano ancora: maddai!
E poi nelle chat era ancora tutto un susseguirsi di :no, maddai, si chiudiamo, no fanculo, si il senso civico, no abbracciamoci.
Il 5 dunque prendevo la decisione impopolare di chiudere. Le scuole sospendevano, la gente si vedeva al pub, i giovani si assemblavano su Ponte Milvio, e sul litorale di Ostia, la domenica mattina la gente passeggiava come fosse giugno. Perchè tanto é a “Vo'”e quindi fanculo. Resistiamo.
Poi.
Poi nel giro di pochi giorni ci è cascata addosso questa guerra. Che non è la guerra, e sarebbe bello ricordarcelo, ma è solo una misura cautelativa. Il mondo non finirà. Torneremo a abbracciarci e andrà tutto bene.
Questo solo per fare il punto. Per raccontare di questi difficili giorni, di questa modalità OnLine e faticosa, perchè certo che avrei voglia di strizzarvi il sedere, di stare con voi, e fanculo queste slide di merda dalla grafica peraltro improbabile. Perchè osservo il comportamento dei colleghi, dal “io resisto” al “tutto gratis per tutti” così intanto vi registrate nel sito e domani siete tutti potenziali “allievi”. Perché il Metis non è business e non lo è mai stato.
Perchè torneremo a guardarci negli occhi, a scambiarci il sudore e le vite.
Perchè adesso dobbiamo stare fermi.
In freeze.
Come hai ben scritto Maria.
Perchè non è una tempesta E’ solo uno sgrullone.
Stiamo fermi ragazzi.
Stiamo a casa.
Da queste pagine invierò slide di merda, e il racconto della nostra quarantena.
Che comunque è comoda. E con tutte le difficoltà del caso: sui nostri divani.
Per ora.
Vi voglio bene.
[ dal diario : giorno 14°esimo]