L’assai nota Trilogia della villeggiatura che comprende “Le smanie, le avventure e il ritorno”, testi che potrebbero essere rappresentati autonomamente e che spesso vengono accorpati sulla scena perché meglio se ne coglie la portata e la bellezza, sono il ritratto esilarante di una classe emergente povera di contenuti e ambiziosa nel voler mostrare uno status che è semplice apparenza. I tre testi che hanno conosciuto edizioni celebri da Strehler a Latella, di là dalla godibilissima comicità che li percorre, indagano con ferocia nell’animo umano. Qui, con l’eccezione forse del personaggio di Giacinta (ritratto di emancipazione come ce ne saranno molti altri nel teatro di Goldoni, e comunque non del tutto affrancata da una qual certa – a mio avviso – ambiguità di fondo), i personaggi rincorrono per tutto il tempo una felicità che si traduce con il poter mostrare come i propri abiti sociali siano migliori degli altri; una rincorsa identitaria su cui si posa lo sguardo nobile dei servitori, sempre a soccorrerli, sempre a riportarli a più miti consigli, eppure ugualmente non meno coinvolti nelle medesime pastoie che condannano i loro padroni ad una eterna giostra nevrotica, feroce e narcisistica.
Per ragioni di adattamento abbiamo scelto di portare in scena solo le prime due, decisione ragionata sulla tempistica (lo spettacolo sarebbe stato troppo lungo) che pure ha il pregio di lasciare sospesi i personaggi, quasi su un baratro, condannati ad una eterna decadenza, senza l’inevitabile scioglimento a lieto fine del “ritorno”.
Per ragioni di adattamento abbiamo scelto di portare in scena solo le prime due, decisione ragionata sulla tempistica (lo spettacolo sarebbe stato troppo lungo) che pure ha il pregio di lasciare sospesi i personaggi, quasi su un baratro, condannati ad una eterna decadenza, senza l’inevitabile scioglimento a lieto fine del “ritorno”.
Foto di scena Paolo Sasso