Il “Mistero della natività, passione e resurrezione di Nostro Signore” lo ricompose Silvio d’Amico, nel 1937, per la giovane Compagnia dell’Accademia che avrebbe debuttato quell’anno per le celebrazioni giottesche, a Padova. Sul sagrato della chiesa di San Nicolo’, se la memoria non mi inganna.
D’Amico ricompose in un unico testo laude umbre del XII e XIII secolo – tutte anonime – e il più celebre Pianto della Madonna di Jacopone da Todi. ne venne fuori un testo dalla straordinaria potenza evocativa – come spesso si scrive nelle note di regia – alla ricerca di parole che restituiscano un senso che spesso perdiamo noi stessi nell’enfasi di una scrittura che alla fin fine perde di vista il testo e privilegia una frase di effetto, e come dire una bella chiusa.
Un testo dalla straordinaria potenza evocativa.
La Pavlova – ancora la Pavlova – curava la regia e discuteva con Pelosini, che la accusava di spezzare il verso. (vado ancora a memoria, e questo è un post impreciso, sicuramente).
Spezzare il verso.
Lo rileggiamo con i ragazzi.
Il Mistero – Laudes che debutterà i primi di ottobre a San Nicola a Capo di Bove, in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici di Roma che metterà a disposizione lo spazio, Laudes con cui abbiamo vinto nel 2011 un premio importante che è stato i Teatri del Sacro, Laudes che abbiamo rappresentato a Lucca e Roma, al Teatro Tor bella Monaca – grazie al piccolo finanziamento del Teatro di Roma- e poi ancora su autofinanziamento alla Basilica di san Pancrazio e a San Giorgio al Velabro – Laudes, il Mistero è qualcosa oltre un testo dalla straordinaria potenza evocativa.
per me.
L’ho portato in scena – da interprete – nel 1992. La regia era di Antonio Pierfederici. (Ed ancora Tonino, eh lo so: uno dei pochi maestri che ho avuto):
le parole si fanno commozione.
sulla carta un copione è nulla finchè non prende corpo.
c’è la memoria di Tonino che scaraventava le sedie, e mi urlava nelle orecchie “Oh Erode fallace, ” Punto. ed io – attrice sorda che le intonazioni le lasciavo tutte aperte. e quindi la nostalgia di quel teatro, – perchè raramente ne ho potuto riascoltare il suono,
e quella differenza sottile, che è la differenza;
e poi c’è tutta la storia di Laudes, e di Metis e di questi anni.
E’ un testo magistrale Laudes. Perchè sotto la straordinaria potenza , cammina il verso volgare delle laude: la visceralità del verbo che rende ancora e ancor più profondamente umano il testo.
Figlio mio deporto e diletto
figlio chi me t”ha morto
figlio pur m’hai lassato
figlio, pate e marito.
meglio averiano fatto se el cor m’avesser tratto
che nella cruce ratto
starce desciliato.
figlio questo non dire
voglio teco morire
non me vojo partire
finchè non m’esce el fiato.
la parola è niente
finchè non prende corpo.