Ecco,
stasera mi hanno detto una di quelle frasi che a me – che sono una romantica sentimentale – mi viene subito la lacrimuccia ma mi tengo.
Nello specifico la frase era io ho trovato una seconda casa, riferito a noi, riferito a metis, riferito al gruppo.
Allora in un momento di entusiasmo mi appello ai grandi, al solito una parte del mio cuore scomoda le utopie sul Monte Analogo (confesso di conoscere assai bene solo il teatro del 900 e di averlo interpretato a modo mio, piangendo copiose lacrime – concesse – al pensiero di Artaud con una scarpa in mano nell’ennesimo ricovero coatto, a Mejerchol’d che firmò tutte le confessioni false e sotto tortura che gli venivano estorte, a Vachtangov che provò e riprovò fino all’ultimo quegli spettacoli che avrebbe voluto farsi come una festa, a Stanislavskij testardamente a scomporre e ricomporre il sistema, circondato dai suoi allievi, a Pirandello per braccio alla figlia da un’uscita secondaria del Teatro Valle, alla ormai nota prima del ’21, dei Sei personaggi…) A Wanda Fabro, a Renato Cialente, a Luigi Almirante …
Ma il 900 non sta sul Monte Analogo. La storia lo dice e lo ripete. Non furono utopisti: furono uomini e donne che lavorarono, pensarono, idearono teorie, fecero fatti in un contesto, reale.
Eppure a me piace visualizzarli lì. Su un Monte, Analogo appunto. Come la storia vuole in debito a Dumas.
Cosa c’entra tutto questo con la Casa?
Teatro Scuola, Teatro Casa, Sulerzikj in estate a Epanoma (forse) con i suoi attori, a lavorare il campo, di giorno, e a condividere.
Ho una piccola sala a Via Foligno.
Non sono Sulerzicki (e aspiro ad esserlo) e insegno da dodici anni.
E’ l’idea di Casa.
Null’altro.
L’idea che il teatro, questa cosa assurda e folle che ci ostiniamo a condividere, possa rappresentare a tratti – talvolta – una Casa.
Poi mi permetto di commuovermi.
Sul mio personale Monte.
Restituendo un senso a quello che faccio.
ed è un senso che spesso mi gratifica e commuove.
quando penso a quanto accade in quel tempo sospeso che ci lega,
semplicemente.