Da terra a terra, da sonno a sonno.

Di spalle, di fronte al mare sonoro e urlante di rabbia, sognando il ritorno, la casa, la vendetta di là dal mare. Polymetis, polymechanos, polytlas, (molto) astuto, abile e paziente, nel lungo intervallo che separa il XXII canto dell’Iliade dal V dell’Odissea, Odisseo è nel racconto.

E’ nel racconto degli aedi che cantano un’epoca che non è più, il tempo degli eroi, di Achille, Ettore, Diomede, di Patroclo, l’amato fratello che vestì armi non sue – le armi di Achille, il corpo di Achille – e non seppe sottrarsi al richiamo della guerra, e non seppe fermarsi quando era il tempo

E allora irrompi tu Patroclo, fratello. Allontana dalle navi il disastro Che i troiani non le brucino Col fuoco ardente E ci tolgano il dolce ritorno Però ascoltami Ascoltami bene Non ti esalti il tumulto della battaglia non ti esalti la strage dei teucri, quando avrai portato luce di salvezza alle navi torna indietro. fermati Patroclo, fermati

ed ora nel tempo degli uomini, le ossa di Patroclo e Achille mischiate insieme nella medesima urna, fratello e fratello, mentre il tempo degli eroi è un tempo concluso, che non è più, cantato dagli aedi, alla reggia dei Feaci, Demodoco, il cieco, che tante storie racconta, Demodoco il cieco, che parla di un tempo che non è più.

Di spalle, di fronte al mare colore del vino, Odisseo, l’ultimo degli eroi, perchè è l’ultimo che ancora non ha trovato la via del ritorno, sogna la terra, la vendetta, la casa, di là dal mare. Nel lungo intervallo che separa il XXII canto dell’Iliade dal V dell’Odissea, Odisseo è racconto. Quale dei suoi tanti volti scorgeremmo se si voltasse? Se avesse lo sguardo frontale di Achille, Odisseo ci restituirebbe se stesso. E invece è lì che lo scorgiamo. In questa terra ai confini del mondo, Ogigia, dentro un tempo che non è misurabile, perchè forse è Ogigia stessa a non essere misurabile. A quale tempo appartiene questa terra? A quale altrove, a quale presente?

“Quando i Greci dovevano appellarsi a un’autorità ultima non citavano i testi sacri, ma Omero. Sull’Iliade si fondava la Grecia” scrive Roberto Calasso in quel libro di bellezza e rimandi continui che è Le nozze di Cadmo e Armonia.

Un libro da riprendere ogni volta, da leggere da sinistra a destra, seguendo le tracce che come briciole Calasso dissemina nelle continue ramificazioni del mito. Il mito sfugge perchè ha troppi rimandi. Il mito sfugge perchè le sue molte storie, ramificazioni di un albero, convivono continuamente. La suggestione su Odisseo invece ce la regala Maria Grazia Ciani. Ne Le porte del mito, credo. Sto leggendo troppi libri, tutti insieme, contemporaneamente.

[In questo periodo così assurdo che ci priva – vuoi o non vuoi – di uno sguardo in avanti ho scelto Odissea. Abbiamo attraversato Iliade appena un anno e mezzo fa. Se non ci trovassimo di fronte a questo ospite inatteso avrei dato un respiro maggiore tra i due progetti. Ma quando ancora non sembravano esserci avvisaglie di un’Italia da colorare coi pennarelli, ho intuito che era il tempo di un pensiero potente. Che solo un pensiero potente – la Grecia, e la Grecia di Omero ancor prima di quella della letteratura che sarebbe venuta dai tragediografi in avanti – avrebbe potuto traghettarci oltre questo tempo.
Sentivo il bisogno di tessere fila oltre il tempo. E di dare respiro al pensiero. Trovare parole di conforto. Dialogare coi padri, e col padre di tutte le storie, Omero, cui appellarsi quando non si hanno risposte.

In questo tempo sospeso, in questo altrove che molto somiglia al viaggio che Odisseo racconta, questo lungo sonno dell’anima che ci trattiene in un’isola di là dalle nostre certezze, dal mondo conosciuto, sposto lo sguardo in avanti, in direzione del mare colore del vino, di spalle. Scegliendo e misurando lo sguardo che avremo, che avrò, quando ci volteremo e torneremo a raccontarci con la frontalità di Achille. Tutto sta nella scelta, come sempre. Nella scelta di come attraversare questo breve tempo.

E quindi sto studiando. pazzamente].

Odisseo – 5 possibili percorsi. Appunti.

Come per Iliade rintracciamo percorsi dentro il testo.

L’identità di Odisseo. Odisseo nello sguardo.
Quando finalmente Odisseo trova la via del ritorno, canto XIII dell’Odissea, dopo la breve o lunga o comunque non misurabile presenza che da sonno a sonno lo traghetta nell’Altrove della Terra dei Feaci, al cospetto di Atena, sulla spiaggia di Itaca, mente. Non riconosce la terra, non riconosce la patria. I Feaci lo hanno lasciato lì. Nel sonno. carico di tesori e ricchezze si sveglia in una terra, in uno spazio che non riconosce. Tutto è annebbiato. Tutto è ancora sogno. L’Odisseo di Omero sembra affrancarsi da quella fama di tessitore di storie e di inganni a cui la letteratura precedente e soprattutto quella successiva lo condanneranno. Come sembra affrancarsi dall’eroe eternamente spinto in avanti: Dei rami facemmo folle volo, i celebri versi danteschi che inchiodano il personaggio di Odisseo ad un viaggio non più circolare (da Itaca a Itaca. M G. Ciani) ma destinato a perdersi nella verticalità per sete di conoscenza, non sembrano appartenere all’Odisseo che Omero racconta.

L’Odisseo di Omero ha lo sguardo rivolto a Itaca. Sempre. E non solo. Omero sembra volontariamente omettere o comunque solo accennare a quella parentela con il nonno Autolico, truffatore e maestro di inganni, “noto tra gli uomini per essere ladro e spergiuro“. Se ne trova breve traccia nel racconto di Euriclea, nell’episodio del riconoscimento, (XIX) quando attraverso la cicatrice che Odisseo porta sulla coscia, viene rievocato l’episodio di iniziazione – la caccia al cinghiale – e quello del nome destinato all’eroe: “poichè io odio e sono odiato da molti – dice Autiloco – uomini e donne sulla terra feconda, sia il suo nome Odisseo”. Colui che odia, colui che è odiato. Di questa suggestione, di questo scomodo passato, poi nell’Odissea e anche nell’Iliade, non se ne trova traccia. Una macchia nel nome che resta senza eco.

L’Odisseo di Omero non è nè colui che odia, nè colui che è odiato. E non è neanche il viaggiatore eternamente spinto in avanti, in viaggio, verso la terra dove gli uomini non conoscono il sale, la profezia di Tiresia nell’Ade ha quale unico scopo quella di riconfermare la centralità di Odisseo. Lo scopo del suo ritorno. La casa. La terra. Itaca, petrosa Itaca, bagnata dal sole. Da Itaca a Itaca. Attorno al ramo di ulivo su cui si costruisce e articola tutto il ritorno.


Eppure Odisseo, pur affrancato dalle sue doti meno nobili, mente. Mente. Continuamente. A Atena, che non riconosce, a Eumeo, il guardiano fedele rimasto a vegliare gli animali e la casa, a Antinoo, a Penelope. Mente durante tutto il ritorno. E’ lo sguardo che restituisce agli altri e lo sguardo con cui gli altri lo leggono. Penelope, Circe, Nausicaa, Calipso. Quante sono le identità che Odisseo veste nel suo romanzo? Quanti gli sguardi? Il suo sguardo che sempre si sottrae, così antitetico alla frontalità di Achille, è per ora il punto di partenza di questo primo possibile percorso

L’Altrove
Da sonno a sonno. Quando si pensa all’Odissea si pensa facilmente all’epica del viaggio. Il viaggio nel nostro immaginario ha uno spazio importante, imponente, come se tutta Odissea potesse essere riconducibile unicamente alle storie favolose di Ciclopi e Sirene, ai mostri di Scilla e Cariddi, ai Lestrigoni antropofagi, al paese dei Lotofagi che fanno perdere il ricordo. E invece è solo una piccola parte di Odissea che è dedicata al viaggio. Dal canto V – Ogigia- al XIII in cui i Feaci, naviganti dalle navi senza nocchiere, riportano Odisseo a Itaca, il resto è terra.
O meglio è Itaca.
Gran parte dell’Odissea si svolge a Itaca. Dal XIII al XXIV canto. E poi parte della Telemachia – i primi 4 canti – in cui Telemaco spinto da Atena muove da Itaca, oltraggiata dai Pretendenti superbi, e alla ricerca del padre tocca le terre di Nestore e Menelao. Lacedemone e Sparta. Comunque terra.
L’altrove si situa in un tempo che da sonno a sonno traghetta Odisseo e i suoi compagni, e poi Odisseo soltanto, dentro uno spazio non misurabile, ai confini del mondo conosciuto. All’indomani della presa di Ilio, attraverso quel grande poema mancante che sono i Nostoi – i ritorni di cui nulla di certo è dato sapere – Odisseo disperso con la sua flotta, tocca dapprima la terra dei Ciconi, ancora uomini all’apparenza del tutto simili agli Achei, per entrare poi in un tempo senza tempo.

Doppiato capo Maleo, Zeus rovescia sulle navi una delle sue memorabili tempeste e Odisseo e i compagni si perdono. Da quel momento in poi entriamo in uno spazio senza tempo. Da quel momento in poi Odisseo e i suoi compagni incontreranno solo mostri, divinità, esseri che non appartengono al mondo conosciuto.
Da sonno a sonno perchè il racconto di Odisseo prende avvio alla terra dei Feaci. E come arriva Odisseo a questa terra? Arriva di notte, dopo quel tempo non misurabile (Vernant) e comunque indicato da Omero (7 anni, e all’Ottavo di nuovo il viaggio), trascorso a Ogigia, presso la dea Calipso, colei che nasconde, colei presso cui troviamo Odisseo di spalle, guardare il mare color del vino, mare rabbioso e urlante di rabbia, sognando Itaca. Sognando il ritorno. Su invito degli dei, profittando di una momentanea assenza dall’Olimpo di Poseidone, il dio del mare che sempre avrà in odio Odisseo dopo che questi gli avrebbe accecato il figlio, il Ciclope, Calipso si convince a retrocedere, a annientarsi in quest’ultimo atto di sovraumana bellezza, sottrazione a se stessa, di quell’uomo che ogni notte ha amato nel letto, pur sapendo che il suo sguardo era rivolto altrove. Per (sette?) giorni lo assiste e lo guida nel costruire una zattera con cui Odisseo finalmente scioglie l’incanto della dea per prendere la via del ritorno.

E alla terra di Alcinoo, terra misteriosa ai confini tra la realtà e l’indefinito, Odisseo si addormenta. Da sonno a sonno. Perchè mentre dal VI al XII canto si snodano i suoi racconti del viaggio, il ritorno alla terra è ancora segnato da un sonno che lo avvolge, che il dio gli posa negli occhi, e che lo fa risvegliare ancora su una spiaggia, avvolto nella nebbia. Terra che non riconosce.
Questo altrove ha rimandi continui che toccano la dimensione della morte. Morte qui è non solo l’Ade, la terra dei Cimmeri, cui Odisseo si reca, terra di ombre senza ricordo, tutto il racconto del Viaggio tesse un dialogo continuo con la morte. Nella sua concretezza. Morte è l’oblio della terra dei Lotofagi. (Pensiamo a quanto fosse importante per l’uomo omerico la dimensione sociale, il riconoscimento attraverso lo sguardo degli altri. L’identità è memoria, l’identità è presenza e ricordo). I Lotofagi donano una droga che regala oblio. Dimenticanza. E non c’è nulla di poetico in questo. C’è memoria che non è più.
Ancora una terra di mezzo anticipatoria di quell’Ade che incontreremo pochi canti più avanti. Un popolo di ombre che viene incontro a Odisseo, Tiresia, le donne, la madre Anticlea, Agamennone e non truccarmi la morte nobile Odisseo. Non truccarmi la morte. Non è solo un passaggio di struggente bellezza questo. I versi che Achille rivolge ad Odisseo hanno il peso dell’incommensurabile. Tutto un poema – Iliade – a celebrare la morte, la bella morte, che il corpo sia lasciato intatto, che si possa morire giovani e in battaglia, e in Odissea come uno schiaffo, l’incommensurabile che trova concretezza. Siamo ombre. Ombre cui non è data memoria.

Non erano solo un passo avanti i Greci. Avevano intuito con straordinaria modernità, come l’unica cosa che ha senso è cosa farne del nostro tempo- dell’unico tempo che conta.

[Odisseo, primi appunti per il nostro studio]
Altri temi: la vendetta, I nostoi, Achille, e Odisseo. Continua

Torna in alto