Il teatro
è il territorio della morte, questo luogo rituale dove i vivi stanno cercando di comunicare con l'aldilà. Sul palcoscenico, in un incessante equilibrio tra incarnazione e disincarnazione, materiale e immateriale, visibile e invisibile, compaiono fantasmi che portano la parola dei morti, per noi ancora e solo vivi (...) Quindi mi interessa solo questo fragile dialogo con i morti, questi tenui respiri raccolti dai morti che testimoniano di essere stati alla storia e al mondo ] Patrick Kermann
Abbiamo scoperto Patrick Kermann, drammaturgo francese scomparso prematuramente nel 2000, all'età di 41 anni, grazie al festival Intercity organizzato dal teatro della Limonia di Sesto Fiorentino che ha portato in scena una mise en space de "La masticazione dei morti" e ne ha poi pubblicato il testo nella raccolta omonima dedicata al Festival.
Pochissime dunque le fonti di riferimento critiche - anche in lingua, con l'unica eccezione di una lunga intervista da cui abbiamo tratto l'incipit evocativo che ha dato avvio alla nostra messinscena: il teatro come luogo rituale in cui è possibile mettere in comunicazione quell'altrove con lo spazio destinato al qui ed ora del tempo presente.
"La masticazione dei morti" al di là del titolo che traduce comunque fedelmente l'analogo francese, è un testo brillante. Brillante nella misura in cui dà voce ad un coro di morti per l'appunto, che in un moderno Spoon River sono gli abitanti di un piccolo paese della Francia. Nella lunga introduzione una voce narrante immagina di tornare al paese in cui ha vissuto quando era piccolo e addormentarsi per un caso al cimitero: ed è qui che iniziano a levarsi le voci delle tante anime che lo hanno abitato. Masticazione perchè si immagina che l'unico suono che sia ancora possibile percepire è quel digrignare di un qualcosa che ancora vorrebbe dirsi appunto, ma che la morte ha sottratto alla possibilità di dirsi.
Un testo brillante appunto, la storia di un piccolo paese e dei suoi abitanti, molti dei quali legati tra di loro dalle stesse storie che ogni volta vengono raccontate da un punto di vista differente. Ciò che ne fa un piccolo capolavoro di drammaturgia è già e non solo l'intrecciarsi comico di biografie con unico cognome e che rivelano finalmente quanto in vita poteva essere solo immaginato e veniva puntualmente omesso, ma soprattutto quella possibilità di immaginare che il teatro possa davvero essere linea di confine, in cui questo miracolo può assumere forma e corpo.
Viene in mente Ionesco, la sua ossessione per la morte, e la possibilità di declinarne l'immaginario nei molti testi in cui essa era protagonista e presente. Restano poi evocative e potenti le parole di Kermann, il teatro come il luogo salvifico, in cui ciascuno per se stesso ha la possibilità di riallacciare le fila di un altrove altrimenti inespresso. Che il teatro sia un luogo di confine, uno strumento immaginato e creato dall'uomo per allontanare con la sua ripetibilità la paura della finitezza.
[Parole di Patrick Kermann]
[Montaggio Video delle Foto di Scena ]